SECONDA PARTE
Augusto, Tiberio e Germanico
Nel 4 d.C. Augusto scelse Tiberio come suo successore, lo adottò e gli impose di adottare a sua volta il nipote Germanico, che divenne il secondo in linea dinastica.
Nell'8 d.C. Tiberio fronteggiò una serie di ribellioni in Dalmazia e Pannonia causate da governatori disonesti, poi venne inviato in Germana a domare le rivolte dei Cherusci e dei Marcomanni, sconfiggendoli e catturando il loro capo Batone.
Nonostante quel successo, Augusto decise di richiamare Tiberio a Roma per sostituirlo con Publio Varo, un generale ambizioso e pieno di sé che sognava di ripetere in Germania le gesta di Cesare in Gallia.
Incautamente Varo si fidò del barbaro Arminio, il capo della tribù germanica dei Cherusci che già con Tiberio comandava un reparto di truppe ausiliarie ed aveva ottenuto la cittadinanza romana. Nonostante fosse stato messo in guardia dal suocero di Arminio, nel settembre del 9 d.C. Varo si avventurò oltre il Reno come se fosse un territorio pacificato per poi cadere nella tragica imboscata della Battaglia di Teutoburgo.
Arminio finse di andare in avanscoperta precedendo il grosso dell'esercito romano, e invece le tribù germaniche da lui coalizzate e guidate annientarono tre legioni romane in una carneficina durata diversi giorni, e catturarono le loro insegne; Varo si tolse la vita per non cadere prigioniero.
Fu una disfatta devastante, una nuova "Clades Lollia", che mise in pericolo l'impero, dimostrando che i Romani non erano invincibili. Si temette che le tribù germaniche invadessero la Gallia e arrivassero addirittura a Roma.
Augusto corse ai ripari ed inviò nuovamente Tiberio in Germania nel 9 d.C. fino al 12.
Egli tornò alla strategia precedente, evitando grandi scontri campali, e preferì condurre una guerriglia di logoramento con incursioni brevi e limitate, mirate a distruggere i raccolti e i villaggi delle tribù germaniche, mettendole in difficoltà.
E soprattutto rimase sempre in guardia, senza fidarsi di nessuno.
Augusto però non aveva abbandonato l'idea della Germania Magna estesa fino all'Elba, e non condividendo la politica prudente di Tiberio gli affiancò il nipote Germanico (figlio di suo fratello Druso), che era un uomo ambizioso e carismatico, in cerca di gloria.
Nel 14 d.C. alla morte di Augusto, Tiberio divenne imperatore e tornò a Roma.
Germanico invece rimase in Germania e l'anno successivo decise di attraversare il Reno con ben otto legioni per affrontare Arminio, che gli tese un'imboscata nella foresta al quale sfuggì all'ultimo momento, evitando per poco una seconda Teutoburgo.
Non contento ci riprovò nel 16 d.C., apprestando una flotta fluviale di ben mille navi per trasportare truppe e vettovaglie lungo il fiume, flotta che poco dopo venne distrutta da una tempesta.
Germanico riuscì a sconfiggere Arminio in due diverse occasioni: la prima a Idistaviso, la seconda di fronte al Vallo Angrivariano, vicino al fiume Weser. Per vendicare la strage di Teutoburgo non fece prigionieri, e celebrò il trionfo a Roma nel 17 d.C. esibendo come trofei la moglie di Arminio Tusnelda ed il figlio Tumelico.
In realtà non furono vittorie decisive o definitive, e la situazione rimase sostanzialmente la stessa. Essendo un generale esperto, veterano di infinite guerre, Tiberio sapeva bene che una vittoria militare una volta all’anno non bastava per dominare una regione.
Le grandi spedizioni come quella di Germanico erano rischiose, e la Germania era una regione povera che non poteva fruttare bottini che ne giustificassero i costi esorbitanti.
Valutando il rapporto fra costi e benefici, Tiberio decise di richiamarlo a Roma nominandolo senatore, ritirò l'esercito romano su posizioni più sicure, fortificando il confine sul Reno con una serie di fortini ed un grande castrum a Bonna (attuale Bonn).
Così ebbe termine il progetto augusteo della Germania Magna, e nel 17 d.C., vennero istituite le due province della Germania Superior ed Inferior.
Le tribù germaniche erano bellicose e sempre in lotta fra di loro; si coalizzavano solo nei momenti di pericolo per fronteggiare un nemico comune. Come auspicato da Tiberio – secondo il classico "divide et impera" – in tempo di pace le varie tribù ripresero a litigare, e il loro capo Arminio fu ucciso da uno dei suoi fra il 19 ed il 21 d.C.
Germanico si ammalò e morì nel 19 d.C. ad Antiochia dopo lunghe sofferenze; si sospettò che fosse stato avvelenato da Lucio Calpurnio Pisone, uomo di fiducia di Tiberio che gli era stato affiancato. Tiberio non presenziò al suo funerale.
Le fonti antiche come Svetonio e Tacito descrivono Tiberio con evidente antipatia e pregiudizio: un uomo diffidente, introverso e schivo, che non faceva nulla per piacere al popolo ed anzi predicava le antiche virtù romane della disciplina e del dovere. Inoltre rifuggiva dagli aspetti spettacolari e propagandistici del cerimoniale imperiale.
È più noto per la sua crudeltà che per i suoi meriti di ottimo generale e buon amministratore, che seppe consolidare il principato creato da Augusto.
Diffusero leggende sulla sua vita depravata e viziosa a Capri, primo caso in epoca imperiale di un'accusa che verrà usata nei secoli successivi per demonizzare imperatori o personaggi poco graditi all'aristocrazia e al sistema di potere romano, come Nerone, Eliogabalo e Caracalla. Insinuarono che lui e la madre Livia avessero tramato per eliminare tutti gli altri possibili successori al trono di Augusto.
Germanico venne invece glorificato oltre misura da quegli stessi scrittori, che lo consideravano un emulo di Alessandro Magno, al quale sembra si fosse paragonato lui stesso in un discorso pronunciato ad Alessandria d'Egitto. Era un uomo di bell'aspetto, carismatico e ambizioso; Tacito scrisse che se fosse stato lasciato libero di agire avrebbe conquistato tutta la Germania.
Questo dualismo probabilmente rispecchia il contrasto fra Tiberio ed i senatori perché pur rispettando formalmente l'autorità del Senato, Tiberio concentrò il potere decisionale nelle sue mani perché c'era bisogno di un'autorità unica in quel periodo di transizione fra la repubblica e l'impero.
Non si faceva illusioni sulla natura umana, ed era convinto che le istituzioni e le leggi dovessero contenere le ambizioni degli individui.