DIOCLEZIANO. UNO DEGLI ULTIMI GRANDI IMPERATORI
Gaius Aurelius Valerius Diocletianus nacque probabilmente a Salona in Dalmazia nel 245 d.C. e originariamente si chiamava Diocles.
Fu uno degli ultimi grandi imperatori romani: cercò di salvare quel che rimaneva dell'impero in un periodo di sanguinose contese per il potere, con infinite guerre civili fra diverse fazioni l'una contro l'altra armate.
Intraprese la carriera militare, divenne Console e poi governatore della Mesia e infine comandante dei Pretoriani a servizio dell'imperatore Caro.
Secondo la leggenda gli era stato predetto che sarebbe divenuto imperatore se avesse ucciso un cinghiale, in latino Aper.
Nel 284 d.C. l'imperatore Caro fu assassinato; il figlio Carino divenne imperatore d’Occidente, l’altro figlio Numeriano ebbe l’impero d’Oriente e morì in circostanze misteriose, forse per mano del suocero che si chiamava proprio Aper. Dioclezano lo uccise con la sua spada portando a compimento la profezia, e fu acclamato imperatore.
Nel 285 i due eserciti d’Oriente e Occidente si scontrarono ma Carino, uscito vincitore, fu ucciso da un suo ufficiale e Diocleziano fu acclamato imperatore di entrambi gli imperi.
L’impero versava in una crisi profonda, perché l’autorità centrale si era indebolita e l’esercito era in mano ai mercenari. Numerosi imperatori/usurpatori avevano coniato proprie monete per corrompere i soldati e funzionari, provocando la svalutazione di quelle ufficiali.
Le province di confine erano minacciate dai barbari, in Britannia ma anche lungo il Reno e il Danubio, e poi in Oriente, in Persia, in Egitto e in Africa.
L’insicurezza aveva provocato una grave crisi economica e demografica, la riduzione della produzione agricola, la svalutazione della moneta e l’aumento del brigantaggio e della pirateria sui mari.
In quell’epoca travagliata bastava essere al comando di una legione per trasformarla nel proprio esercito personale, ed essere acclamato imperatore. E siccome gran parte dei legionari erano barbari e mercenari, le acclamazioni dipendevano dai donativi in oro e dai bottini. Se non erano sufficienti, il nuovo imperatore veniva passato a fil di spada e se ne sceglieva un altro, cosa che avvenne soprattutto nel decennio 275-285 d.C..
Quella situazione di anarchia totale minò l'impero dal suo interno molto più dei conflitti con nemici esterni storici e irriducibili, come i Persiani.
Per farvi fronte, nel 286 d.C. Diocleziano decise di condividere il comando dell’impero con Massimiano, uno dei suoi migliori generali: lo nominò Augustus minor dell’impero d’Occidente mantenendo per sé il titolo di Augustus major e l’impero d’Oriente.
Entrambi si impegnarono in una serie di campagne militari per domare le rivolte, rendere nuovamente sicuri i confini e risollevare l’economia.
Sconfissero i Persiani, gli Alamanni e i Franchi, contrastarono con successo i pirati franchi e sassoni. Poi fu la volta della Rezia, dei Sarmati; negli anni successivi fu domata la Siria, l’Egitto e parte dell’Africa.
Nel 292-293 d.C. la situazione era migliorata e Diocleziano affrontò il problema più importante: la successione imperiale. Non poteva più avvenire su base familiare e dinastica, dopo i tragici esempi di Caracalla ed Eliogabalo; doveva essere garantita in modo ‘automatico’ scegliendo in anticipo i successori, per evitare le guerre civili scatenate dagli usurpatori.
In tal modo nacque la Tetrarchia. I due Augusti – Diocleziano e Massimiano – nominarono due Cesari, Galerio e Costanzo, che furono adottati come figli e successori designati.
L’impero fu diviso in quattro parti, ma Diocleziano mantenne l’autorità suprema ed emanò le leggi per tutto l’impero esercitando un potere assoluto.
Diocleziano governava l’Oriente (Egitto e la Libia e Asia) con capitale a Nicomedia. Massimiano regnava sull’Italia, la Rezia, la Sicilia, Sardegna e parte dell’Africa, con capitale a Milano. A Galerio fu data la Pannonia, la Mesia, Grecia e Creta, con capitale a Sirmio. Infine Costanzo ebbe la Britannia, la Gallia e la Spagna con capitale a Treviri.
Come già avevano fatto Augusto e Adriano, Diocleziano varò un ambizioso programma di opere pubbliche, costruendo fortificazioni e strade, ma anche palazzi, circhi, terme e basiliche, soprattutto nelle nuove capitali: Treviri, Milano, Sirmio, Tessalonica e Nicomedia.
Poi si dedicò a grandi riforme amministrative e fiscali, che non sempre ebbero gli esiti sperati. L’Italia perse l’esenzione dai tributi che furono ripartiti più equamente e vennero calcolati ogni anno. Furono coniate nuove monete ed emanato l’Editto dei prezzi, che cercò di calmierare i prezzi delle merci. Anche l’esercito venne riformato ristabilendo il più possibile la disciplina e la fedeltà.
Il potere imperiale come sempre aveva bisogno di una legittimazione sacra, che fin dai tempi di Augusto consisteva nel proclamare la genealogia divina della Casa imperiale e nella divinizzazione degli imperatori, che avveniva solo dopo la loro morte e con apposito decreto del Senato.
Col passare dei secoli il potere del Senato venne ridotto in modo graduale ma inesorabile, la capitale fu trasferita a Milano; Roma rimase solo un simbolo prestigioso, un guscio ormai vuoto e privo di potere.
A partire da Aureliano l’imperatore fu proclamato divino già in vita, Dominus et Deus, in quanto discendente del dio Sole – Sol Invictus – che divenne il culto di Stato. Aureliano adottò i simboli orientali del potere come il diadema ed il mantello tempestato di pietre preziose, lo sfarzo e i complessi cerimoniali di corte.
Diocleziano fece propri quegli stessi simboli, proclamandosi «Dominus et Deus, rector orbis ac domino, fundator pacis aeternaem, providentissimo princeps» cioè «Padrone e dio, governatore del mondo e signore, fondatore della pace eterna, principe provvidenziale».
Adottò ed elaborò altri cerimoniali di corte che verranno ereditati dall’impero bizantino, inclusa la prostrazione davanti al sovrano ed estese la dignità sacrale al palazzo imperiale e ai suoi consiglieri.
La divinizzazione in vita degli Augusti aveva uno scopo ben preciso: la legittimazione sacra del potere imperiale in quanto divino e anche la legittimazione della successione da parte dei Cesari già scelti da loro stessi come eredi designati. In tal modo si eliminarono gli altri pretendenti al trono perché non avevano uno status divino, e gli eserciti non ebbero più il potere di nominare e scegliere gli imperatori.
La divinizzazione dell’imperatore non impediva la libertà di culto, ma pose Diocleziano in contrasto coi cristiani, che rifiutarono di adorarlo come un dio e vennero duramente perseguitati più per motivi politici che religiosi perché minavano la sua suprema autorità divina.
Il 1º maggio del 305 d.C., Diocleziano abdicò volontariamente, ritirandosi nel suo Palazzo di Spalato la cui costruzione era iniziata dodici anni prima. Anche Massimiano abdicò, ma la successione non andò a buon fine, con alterne vicende di usurpazioni e tradimenti che culminarono nel conflitto finale fra Massenzio e Costantino.